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Che lezione da Castel Volturno?

La rivolta di immigrati africani a Castel Volturno scoppia dura, contro la strage di camorra a danni di altri africani, e soprattutto contro i mezzi di informazione che l'hanno subito giustificata come un regolamento di conti interno, per qualche sgarro sul mercato della droga.
Questo è un cliché cui siamo abituati. I media, già abili nello sdoganare come semplici“ragazzacci”gruppi di fascisti che pestano (e ammazzano) senzatetto o immigrati, o ragazzi con la maglia del Che, ora
con solerzia ci spiegano perché sono intervenuti i kalashnikov della camorra:cioé per bloccare dei trafficanti di stupefacenti, quasi trasformando il killer in giustiziere, colui che ci vendica dall'arroganza di chi “viene qui per fare i propri comodi”.
Tale solerzia mi pare faccia il paio con il tempismo con cui il prefetto chiede l'invio dell'esercito.
Contro chi? Contro i malviventi? Beh, se potesse servire...
O contro chi ha manifestato rabbiosamente, stanco dei soprusi, di una vita fatta di schiavitù, del silenzio della gente “per bene”? Certo, non possiamo sapere se quei morti ammazzati fossero realmente coinvolti in traffici illeciti.
Già, ma importa? Forse non è questo il punto.
Non conosco la realtà di Castel Volturno, non la vivo; ma abitare in Puglia, nel sud Italia, ti permette di conoscere certe dinamiche, di capire, o provare a capire, o immaginare, partendo da quei pochi fatti che si sanno, da quello che si legge tra le righe dei giornali.
E veniamo ai fatti.
Ci sono dei morti, c'é gente che chiede aiuto, e non certo da due pischelli in divisa verde, ma da uno stato che permetta, a chi si arrangia nei quartieri fatiscenti nati dallo sciacallaggio edilizio, di uscire da annose situazioni di miseria.
Gli immigrati, poi, si sa, sono gli ultimi. E si sono stancati di questo.
Di un paese nel quale valgono meno di niente, grazie alle leggi razziste di Bossi e Fini, all'aggravante di immigrazione clandestina del decreto sicurezza, al leghismo, ad un ministro dell'economia, Tremonti, amato anche nei salotti della sinistra e pronto a lanciare strali contro la globalizzazione, intesa come l'invasione dei cinesi. Poco importa se questa invasione è il risultato della fuga dei capitali e delle fabbriche verso i paradisi fiscali dell'est asiatico, dove con un euro puoi permetterti un operaio al giorno nella tua fabbrica, e il tutto esentasse!
Sono stanchi gli africani dell'ipocrisia di una stampa pronta a dimenticare il racket della raccolta dei pomodori, i nigeriani ammazzati perchè volevano denunciare, lo sfruttamento di uomini e donne per lo spaccio, la prostituzione.

E invece va in scena il teatrino di chi, anziché cercare di farci capire, essendo sul posto, avendone i mezzi, si lascia andare in una semplicistica condanna contro la violenza della protesta.
Al solito: sono immigrati, e questa è un'aggravante.

Come si permettono di devastare le NOSTRE città?
Quindi, non avendo che pochi mezzi, non essendo sul posto, provo a spostare la mia attenzione, tipica del curioso, del turista dell'informazione, su un fatto: delle persone sono scese in strada e si sono incazzate contro gli omicidi di camorra, e contro l'omertà della stampa e della gente, e lo hanno fatto nel territorio dei clan.
Secondo me questo rappresenta una novità proprio per le modalità (da banlieue, come dice Anna Mauro su “Liberazione” di sabato 20-09-2008) con cui si è svolta la protesta: non con le candele e i panni bianchi contro i proiettili delle bestie camorriste, non civile contro l'inciviltà.
Ma violenta, cattiva: a ricordarci la violenza e la cattiveria del “Sistema” raccontato stupendamente da Saviano, e che le tv vogliono banalizzare in adesivi e magliette, per mettere tutto a tacere.
Ma quella rabbia resta lì per terra, tra i vetri in frantumi delle auto, proprio nella terra dei boss, proprio in casa loro, un affronto che nessuno si era mai permesso.
E forse la rabbia degli immigrati resta nelle nostre teste come una scarica di adrenalina, una scossa che forse ancora non comprendiamo appieno, ma che, mi piace pensare possa essere da monito a noi Italiani con la pelle bianca.
Noi che non vogliamo vedere e non sentire.
Noi che nei quartieri a rischio entriamo con la testa bassa, in silenzio.
Noi che accettiamo il sopruso, non sia mai che la nostra ostilità possa essere uno sgarro.
Noi che aspettiamo, in silenzio, che dalla tavola cadano le briciole.
Noi che sappiamo essere forti solo con i deboli.

Noi che abbiamo perso l'abitudine di lottare.
Perciò penso che non sia da sottovalutare quanto successo, né da banalizzare nei salotti del"pro o contro": semplicemente, credo, quello che è accaduto è uno squarcio nella coltre del nostro vivere quotidiano.

Un avvenimento che ci costringe a metterci davanti allo specchio: sta a noi rischiare di guardarci dentro.
O, ancora una volta chiudere gli occhi.

Francesco

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